TRUMP RITROVA PUTIN LA GUERRA HA I GIORNI CONTATI? LA FINE DI UN’EPOCA?

23/1/25 – Aveva promesso che appena alla Casa Bianca avrebbe posto fine in 48 ore alla “ridicola” guerra in Ucraina. Forse ci vorrà qualche giorno di più. Ma la direzione presa da Donald Trump è quella giusta. A tre giorni dall’ insediamento il nuovo presidente ha già annunciato di volere “incontrare Putin presto” per mettere fine alla guerra.

Una svolta epocale, dopo due anni di isteria collettiva dell’Occidente. Che ha alimentato con soldi, armi, appoggio politico al regime di Kiev, e diabolizzando Putin, una guerra assurda che “non avrebbe mai dovuto cominciare” ha bacchettato Trump. Fin dall’inizio, seguendo la linea dettata da Joe Biden, predecessore di Trump, Usa e Europa non hanno fatto alcun tentativo per fermare la guerra. Anzi, hanno soffiato sul fuoco con armi, munizioni, centinaia di miliardi presi nelle tasche dei contribuenti europei e americani. Una logica folle, che ha portato soprattutto l’Europa sul bordo del baratro di un conflitto continentale se non mondiale, potenzialmente nucleare. E impoverito gli europei. Biden e l’allora premier inglese Johnson (un “idiota” per la regina Elisabetta) avevano perfino bloccato tre mesi dopo l’inizio della guerra un accordo per porvi fine raggiunto fra Russia e Ucraina a Istanbul.

Con Trump dovrebbe fermarsi ora l’assurda isteria bellica dei dirigenti occidentali. Il piano per porre fine alla guerra di Trump prevederebbe in un primo tempo un cessate il fuoco, che congeli le posizioni sul terreno di russi e ucraini. E l’avvio di un negoziato. “Non cerco di fare male alla Russia. Mi piace il popolo russo. E ho sempre avuto una relazione molto buona con il presidente Putin”. “E non dobbiamo dimenticare, ha aggiunto Trump, che Mosca ci ha aiutato durante la seconda guerra mondiale.

 Un ritorno alla ragione e al buon senso dopo gli insulti e gli anatemi lanciati negli ultimi due anni contro il “dittatore” Putin. Costretto avgirarsi verso Cina, Iran e Corea del Nord. Trump ha detto che ora l’Ucraina è pronta alla trattativa. Putin ha fatto sapere di essere aperto a un “dialogo paritario e rispettoso con gli Usa”.  La fine della guerra segnerà probabilmente la vittoria di Mosca, che conserverà le regioni russofone che ha conquistato. D’altronde con Trump il mondo sembra entrare in una logica muscolare di tutela dei propri interessi vitali da parte delle grandi e medio-grandi potenze. Putin ha recuperato con le armi la Crimea e il Donbass. La Turchia del ‘sultano’  Erdogan ha messo le mani sulla Siria, primo passo per ricreare una sfera di influenza neo-ottomana. La Cina non nasconde di voler recuperare Taiwan, dopo Hongkong. E lo stesso Trump vuole annettere (o ‘comprare’) la Groenlandia, recuperare il Canale di Panama, ribattezzare Golfo di America quello del Messico, assorbire il Canada come 51mo stato Usa. 

Entriamo anche nell’epoca della nuova immensa rivoluzione tecnologica dell’Intelligenza Artificiale. Che contribuirà a cambiare il mondo. Un’epoca che sarà pure quella dei grandi leader forti. E del ridimensionamento del pensiero politicamente corretto che ha trascinato l’Europa nel declino. Con dirigenti sempre più insipidi e deboli. Non a caso nell’Ue cresce la destra radicale antistema, che sta facendo cadere i ‘cordoni sanitari’ che finora hanno garantito il potere dei partiti tradizionali. Potrebbe vincere le prossime elezioni in Germania e quelle probabili anticipate in estate in Francia. E avanzare in Spagna se il governo socialista di Pedro Sanchez non reggerà agli scandali di corruzione e ai continui ricatti del piccolo partito dell’ex-presidente catalano Puigdemont. I cui 7 deputati hanno permesso finora a Sanchez di salvare la poltrona. Insomma, il 2025 sarà un anno di grandi cambiamenti. Sarà difficile annoiarsi…

TRUMP ENCUENTRARA PUTIN  ¿ SE TERMINA LA GUERRA? ¿ EL FIN DE UNA ERA?

23/01/25 – Prometió que tan pronto como estuviera en la Casa Blanca pondría fin a la “ridícula” guerra en Ucrania en 48 horas. Quizás sean necesarios unos días más. Pero la dirección tomada por Donald Trump es la correcta. Tres días después de asumir el cargo, el nuevo presidente ya ha anunciado que quiere “reunirse pronto con Putin”. “Para poner fin a la guerra”.

Un enorme punto de inflexión tras dos años de histeria colectiva en Occidente. Quien alimentó con dinero, armas, apoyo político al régimen de Kiev,  diabolizando a Putin, una guerra absurda que “nunca debería haber comenzado”, criticó Trump. Desde el principio, siguiendo la línea dictada por Joe Biden, predecesor de Trump, Estados Unidos y Europa no hicieron ningún intento por detener la guerra. De hecho, avivaron las llamas con armas, municiones y cientos de miles de millones sacados de los bolsillos de los contribuyentes europeos y estadounidenses.

 Una lógica demencial que ha llevado a Europa sobre todo al borde del abismo de un conflicto continental, si no global, potencialmente nuclear. Y empobreció a los europeos. Biden y el entonces primer ministro inglés Johnson (un “idiota” para la reina Isabel) incluso habían bloqueado un acuerdo para poner fin al conflicto alcanzado entre Rusia y Ucrania en Estambul tres meses después del inicio de la guerra. Con Trump, la absurda histeria bélica de los líderes occidentales debería cesar ahora. El plan de Trump para poner fin a la guerra incluiría inicialmente un alto el fuego que congelaría las posiciones de rusos y ucranianos en el terreno. Y el inicio de una negociación.

“No trato de lastimar a Rusia. Me gusta el pueblo ruso. Siempre he tenido una muy buena relación con el presidente Putin”. “Y no debemos olvidar, añadió Trump, que Moscú nos ayudó durante la Segunda Guerra Mundial.” Un retorno a la razón y al sentido común tras los insultos y anatemas lanzados contra el “dictador” Putin en los últimos dos años. Obligado a girar hacia China, Irán y Corea del Norte. Trump dijo que Ucrania ahora está lista para las negociaciones. Putin ha hecho saber que está abierto a un “diálogo igualitario y respetuoso con Estados Unidos”. El fin de la guerra probablemente marcará la victoria de Moscú, que conservará las regiones de habla rusa que ha conquistado. Por otro lado, con Trump el mundo parece estar entrando en una lógica muscular de protección de sus intereses vitales por parte de las grandes y medio-grandes potencias. Putin ha recuperado Crimea y Donbass con las armas. La Turquía del ‘Sultán’ Erdogan ha puesto sus manos en Siria, el primer paso hacia la recreación de una esfera de influencia neo-otomana. China no oculta su deseos de recuperar Taiwán después de Hong Kong. Y el propio Trump quiere anexar (o ‘comprar’) Groenlandia, recuperar el Canal de Panamá, y el Golfo de América (ahora “del Mexico”), lleno de petrolio, absorber a Canadá como el estado número 51 de Estados Unidos.

Estamos entrando tambien en la era de la nueva, inmensa, revolución de la Inteligencia Artificial. Que ayudará a cambiar el mundo. Una era que también será la de los grandes, fuertes líderes. Y de la reducción del pensamiento políticamente correcto que ha arrastrado a Europa al declive. Con directivos cada vez más insulsos y débiles. No es casualidad que la derecha radical antisistema esté creciendo en la UE ,  provocando la caída de los ‘cordones sanitarios’ que hasta ahora han garantizado el poder de los partidos tradicionales. Podría ganar las próximas elecciones en Alemania y las que probablemente se anticipen para el verano en Francia. Y avanzar en España, si el Gobierno socialista de Pedro Sánchez no resiste los escándalos de corrupción y los continuos chantajes del pequeño partido del expresidente catalán Puigdemont. Cuyos 7 diputados han permitido hasta el momento a Sánchez salvar su sillon.  En definitiva, 2025 será un año de grandes cambios. Quizas epocales. Será difícil aburrirse…

Caricatura, Puigdemont y Sanchez

CORRUZIONE, MOGLIE, FRATELLO, AMICO INQUISITI, MA PEDRO SANCHEZ SI AGGRAPPA ALLA POLTRONA… E LA CATALOGNA STUFA DI PUIGDEMONT NON VUOLE PIU’ L’INDIPENDENZA

30/11/24 – In fatto di.morale politica, il Portogallo domina nella Penisola Iberica. Il primo ministro socialista Antonio Costa nel 2022 si è dimesso immediatamente quando il suo nome è emerso in una inchiesta per corruzione. Si è poi saputo che lui non c’entrava nulla. Il politico implicato era un suo omonimo, Antonio Costa Silva. Ma il premier dimissionario aveva dato una formidabile lezione di democrazia alla classe politica europea, soprattutto mediterranea. Dove in genere ci si aggrappa ad ogni costo alla poltrona. Ora, meritatamente, Costa è stato nominato nuovo presidente del Consiglio Europeo al posto dell’insipido ex-premier belga Charles Michel, Un salto di qualità che vede finalmente uscire di scena anche lo spagnolo Josep Borrell, il peggiore ministro degli esteri Ue da quando l’incarico esiste.

Caricatura, Sanchez e il procuratore capo dello stato

In casa del grande vicino iberico.del Portogallo, la etica politica è visibilmente diversa. Il capo del governo socialista di Madrid Pedro Sanchez vede la sua famiglia impantanata negli scandali di corruzione. Sua moglie Begonia Gomez e suo fratello David sono indagati per corruzione e/o traffico di influenza, cosi come il suo ex-braccio destro José Luis Abalos. Lo stesso procuratore generale dello stato di aerea socialista ora è indagato. Un fatto senza precedenti.  È accusato di avere fornito a Sanchez dati segreti di una inchiesta della magistratura, per discreditare una pericolosa rivale politica, la presidente Pp della regione di Madrid Isabel Ayuso. L’opposizione accusa Sanchez di essere al centro di un sistema di nepotismo e corruzione. Chiede che si dimetta. Il capo della destra radicale Santiago Abascal parla di una “Rosa Nostra”. Una sorta di Cosa Nostra, con la rosa socialista… Ma di dimettersi Sanchez, non vuole sentire parlare. Si è fatto rieleggere dal congresso di Siviglia capo del Psoe. Giura che arriverà al termine della legislatura, fra tre anni. E continua ad arrampicarsi sugli specchi per mantenersi al potere ad ogni costo,  ‘comprando’ di volta in volta con concessioni di ogni tipo i voti degli indipendentisti catalani e baschi. Senza i quali cadrebbe. A dargli una lezione di correttezza politica è stato negli ultimi giorni il dirigente della sinistra Inigo Errejon. Accusato di avere ‘molestato’ sfiorandole il fondoschiena durante una notte di festa una attrice, Elisa Mouliaá, che poi l’ha accompagnato a  casa sua, Errejon si è immadiatamente dimesso da tutti gli incarichi. Questo nonostante abbia dichiarato che la denuncia della donna era “falsa”.

Inikgo Errejon con Pablo Iglesias

STUFA DI PUIGDEMONT LA CATALOGNA NON VUOLE PIÙ L’INDIPENDENZA… – Un altro politico spagnolo con un senso molto personale dell’etica è l’ex-presidente della Catalogna Carles Puigdemont, responsabile della fine disastrosa della “indipendenza” nel 2017. Prima delle ultime elezioni catalane in maggio Puigdemont aveva giurato che avrebbe lasciato la politica se non fosse riuscito a farsi rieleggere presidente della Catalogna. Ed è stato eletto il socialista Salvador Illa. Puigdemont ha abbandonato la vita politica? Naturalmente no. Anzi. Si è fatto rieleggere presidente del suo partito, Junts per Catalunya, defenestrando gli oppositori interni. Intanto. Stanchi dei giochetti dei loro politici, i catalani si allontanano dal sogno dell’indipendenza. I partiti indipendentisti hanno perso la maggioranza nel Parlament alle ultime elezioni. Ora un sondaggio rivela che il 54% non vuole più sentire parlare (un massimo storico) dell’indipendenza, mentre solo il 40%  ancora sogna la ‘repubblica’.

 

Caricatura Puigdemont

Segno della distanza crescente dei catalani verso la demogagia dei proclami donchisciotteschi e velleitari dei vecchi leader indipendentisti, nel sondaggio il solo partito che cresce è Alianca Catalana (destra radicale per l’ indipendenza) del giovane sindaco di Ripoll Silvia Orriols. Nato solo pochi mesi fa, con un programma di contestazione del vecchio sistema il partito di Orriols  ha conquistato inaspettatamente due seggi nel Parlament Catalano alle ultime elezioni. Ora, poche settimane dopo secondo il sondaggio li triplicherebbe…

CORRUPCIÓN. ACUSADOS ESPOSA, HERMANO, AMIGO. PEDRO SÁNCHEZ SE AGARRA AL SILLÓN! HARTA DE PUIGDEMONT, CATALUNYA DICE ADIÓS A LA INDEPENDENCIA

28/11/24 – Cuando se trata de moralidad política, Portugal domina en la Península Ibérica. El primer ministro socialista Antonio Costa dimitió inmediatamente en 2022 cuando su nombre surgió en una investigación de corrupción. Más tarde se supo que él no tenía nada que ver con eso. El político implicado era su tocayo Antonio Costa Silva. Pero el primer ministro dimitido había dado una formidable lección de democracia a la clase política europea, especialmente a la mediterránea. Donde generalmente se aferran a su sillas a toda costa. Con razón, Costa ha sido nombrado ahora nuevo presidente del Consejo Europeo en sustitución del insípido ex primer ministro belga Charles Michel. Un salto de calidad! En el que finalmente también ha dejado el español Josep Borrell, el peor ministro de Asuntos Exteriores de la UE desde que existe el encargo.

Caricatura, Sanchez y el fiscal general del Estado

En el país del gran vecino ibérico de Portugal, la ética política es visiblemente diferente. El jefe del gobierno socialista de Madrid, Pedro Sánchez, ve cómo su familia se hunde en escándalos de corrupción. Su esposa Begonia Gómez y su hermano David están bajo investigación por corrupción y/o tráfico de influencias, al igual que su ex mano derecha José Luis Ábalos. El fiscal general del Estado de area  socialista tambien está ahora bajo investigación. Un hecho sin precedentes. Se le acusa de haber proporcionado a Sánchez datos secretos de una investigación judicial, para desacreditar a una peligrosa rival política, la presidenta PP de la Comunidad de Madrid Isabel Ayuso. La oposición acusa a Sánchez de estar en el centro de un sistema de nepotismo y corrupción. Exige que dimita. El líder de la derecha radical Santiago Abascal habla de una “Rosa Nostra”. Una especie de Cosa Nostra con la rosa socialista… Pero Sánchez no quiere oír hablar de dimisiones. Se ha echo reelegir jefe del PSOE por el congreso de Sevilla. Promete llegar al final de la legislatura, dentro de tres años. Y sigue trepando a pajas para mantenerse en el poder a toda costa, ‘comprando’ una y otra vez con concesiones de todo tipo el voto de los independentistas catalanes y vascos Sin el cual caería.

 Inigo Errejon y Pablo Iglesias

En los últimos días, el líder de izquierda Íñigo Errejón le ha dado una contundente lección de corrección política. Acusado de haber, durante una noche de fiesta, ‘acosado’ rozándola donde la espalda perde su nombre a una actriz, Elisa Mouliaá, que luego acompañó al político a su casa, Errejón dimitió inmediatamente de todos los cargos. Esto a pesar de que declaró que la denuncia de la mujer era “falsa”.

HARTA DE PUIGDEMONT, CATALUÑA YA NO QUIERE INDEPENDENCIA… – Otro político español con un sentido ético muy personal es el expresidente de Cataluña Carles Puigdemont, responsable del desastroso fin de la “independencia” en 2017. Antes de las últimas elecciones catalanas de mayo Puigdemont había jurado que abandonaría la política si no lograba ser reelegido presidente de Cataluña. Y fue elegido el socialista Salvador Illa. ¿Puigdemont ha abandonado la vida política? Por supuesto que no. De lo contrario. Se ha echo reelegir presidente de su partido, Junts per Catalunya, defenestrando a sus oponentes internos. 

Caricatura Puigdemont

Mientras tanto, cansados de los juegos de sus políticos, los catalanes se alejan del sueño de independencia. Los partidos independentistas han perdido la mayoría en el Parlament en las últimas elecciones. Ahora una encuesta revela que el 54% ya no quiere oír hablar de la independencia (un máximo histórico). Sólo el 40% todavía sueña con la ‘republica’.  Muestra del creciente distanciamiento de los catalanes hacia la demogagia de las quijotescas proclamas de los viejos líderes independentistas, en la encuesta el único partido que crece es Alianca Catalana (derecha radical independentista) de la joven alcaldesa de Ripoll Silvia Orriols . Nacido hace sólo unos meses, con un programa de contestación al antiguo sistema, el partido de Orriols obtuvo inesperadamente dos escaños en el Parlamento catalán. Ahora, unas semanas después, según la encuesta, los triplicaría…

RIDICOLO CATALANO. ADDIO INDIPENDENZA…

12.8.24 – Il ridicolo non uccide, dicono. Ma in Catalogna forse si. C’è scappato il cadavere. Quello del sogno dell’ indipendenza. Che la regione spagnola aveva sfiorato nel 2017. Scatenando la feroce repressione dello stato spagnolo.  Il ‘killer’, pistola fumante in mano, è L’ex-‘President’ Carles Puigdemont, che nel 2017 già aveva disastrosamente gestito il ‘proces’ che – prometteva – doveva portare i catalani a separarsi dalla Spagna. Ora il ridicolo… Davanti alla durissima risposta di  Madrid, che aveva azzerato le istituzioni catalane e messo in prigione i loro dirigenti, Puigdemont era scappato in Belgio nascosto nel baule di un’aut.  Lasciando i suoi ministri nelle carceri  spagnole. Da allora, nella sicurezza dorata dell’Europarlamento, con stipendio da eurodeputato, e invano inseguito dai mandati di cattura spagnoli, ha continuato a lanciare proclami donquisciotteschi al popolo indipendentista e sfide muscolari a Madrid. Aveva scelto di abitare a Waterloo, vicino a Bruxelles, dove Napoleone il Grande aveva combattuto la sua ultima tragica battaglia. Prima, pure lui, dell’esilio.

Puigdemont (caricatura Vizcarra)

L’anno scorso un colpo di fortuna ha fatto uscire dall’irrilevanza il Piccolo Napoleone catalano. Dopo le politiche spagnole, che avevano prodotto un parlamento ingovernabile, i 7 deputati (su 350) del suo partito JpC sono diventati l’ago della bilancia per dare una maggioranza e salvare la poltrona al premier socialista Pedro Sanchez.  Puigdemont li aveva ‘ceduti’ in cambio di una amnistia ad personam. Votata dal parlamento spagnolo. Ma contestata da alcuni giudici di stampo post franchista.  Uno dei quali ha confermato per ora il mandato di cattura per l’ex ‘president’.

Questo ha rovinato i piani di Puigdemont, che alle elezioni catalane di giugno è arrivato secondo (votato soprattutto nella Catalogna profonda del nor), 10 punti  dietro al socialista Salvador Illa. Sperava – senza però avere i numeri – di farsi rieleggere ‘President’. Le elezioni sono state disastrose per il fronte dell’ indipendenza, che ha perso la maggioranza assoluta nel Parlament che aveva dalla fine del franchismo. Eppure per motivare l’elettorato indipendentista durante la campagna Puigdemont aveva giurato che avrebbe lasciato la politica se non fosse riuscito a ridiventare presidente (ma oggi non ne parla più). Sperava in un ritorno trionfale in Catalogna dopo sette anni di esilio per la sessione di investitura del nuovo presidente catalano, convinto di poter bloccare l’elezione di Illa. Anche a rischio, porgendo coraggiosamente  il petto al nemico ‘spagnolista, di essere arrestato. Sperava cosi di provocare una tensione insostenibile e fare saltare il patto di investura fra Illa e l’altro grande partito indipendentista, Erc del ‘Nelson Mandela catalano’ Oriol Junqueras, finito in carcere nel 2017.. Che aveva strappato una concessione storica al premier Sanchez in cambio dell’appoggio a Illa: l’autonomia fiscale, sognata dai catalani dai tempi della morte del dittatore Franco. 

‘Il bacio’ Sanchez/Puigdemont (murales a Barcellona di TVBoy)

Ma il ritorno trionfale di Puigdemont si è trasformato in operetta comica. È arrivato la mattina dell’investitura in una piazza di Barcellona accolto da alcune centinaia di tifosi per lo più pensionati. Non è nemmeno entrato nel Parlament, ha fatto un discorsetto di 5 minuti. Poi è di nuovo scappato a Waterloo. La polizia locale catalana, i Mossos, si è ben guardata dall’ arrestarlo, sprofondando a sua volta nel ridicolo. Ha tra l’altro spiegato poi di averlo perso di vista perchè gli agenti che lo pedinavano sono stati fermati da un semaforo rosso… Visibilmente nessuno, a Madrid come a Barcellona, moriva dalla voglia di sobbarcarsi la grana di arrestarlo. 

ILLA, L’ANTI-PUIGDEMONT, CON DUCH PACE CON BRUXELLES 

L’elezione del molto pragmatico Illa segna la fine del sogno indipendentista. Molti catalani sono stufi dei proclami a vuoto di Puigdemont e dei suoi. Vogliono tornare a una politica di riconciliazione, che si occupi dei veri problemi della gente e non delle chimere ideologiche. Illa lo ha capito. Ha formato un governo di servizio ai catalani e di (ri)conciliazione, nominando due ex-dirigenti del partito di Puigdemont. E due ministri uscenti di Erc. Nel governo di Illa è entrato anche Jaume Duch, uno dei più brillanti alti funzionari europei, ex consigliere dell’attuale ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, quando era presidente dell’Europarlamento. La nomina di Duch a ministro per l’Ue e le relazioni esterne segna la volontà di normalizzare le relazioni con Bruxelles, dopo le tensioni dell’era Puigdemont. L’ex-President, convinto della propria importanza,  potrebbe però ora vendicarsi per essere stato ancora una volta marginalizzato, facendo cadere a Madrid Sanchez, già fragilizzato dalle inchieste per presunta corruzione che coinvolgono il fratello David e la moglie Begonia Gomez. 

Jaume Duch (sinistra) e Salovador Illa (Efe)

RIDÍCULO CATALÁN, ADIÓS INDEPENDENCIA…

12.08.24 – El ridículo no mata, dicen. Pero en Cataluña quizás sí. Con un cadaver. Lo del sueño de la independencia. A lo que la región española había estado casi cerca en 2017. Desatando la feroz represión del Estado español. El “killer”, pistola humeante en mano, es el ex “President” Carles Puigdemont, que en 2017 ya había gestionado desastrosamente el “procés” que – prometia – debía llevar a los catalanes a separarse de España. Ahora lo ridículo… Ante la durísima respuesta de Madrid, que aniquiló las instituciones catalanas y encarceló a sus dirigentes, Puigdemont huyó a Bélgica escondido en el maletero de un coche. Dejando a sus ministros en las cárceles españolas. Desde entonces, en la dorada seguridad del Parlamento Europeo, con el confortable salario de eurodiputado, y perseguido en vano por las órdenes de detención españolas, ha seguido lanzando proclamas quijotescas a los independentistas y desafíos a Madrid. Había elegido vivir en Waterloo, cerca de Bruselas, donde Napoleón el Grande había librado su última y trágica batalla. Antes, él también, del exilio de Sta Helena..

+++ ‘flirt’ Puigdemont y Sanchez ( caricatura Santi Orué)

El año pasado, un golpe de suerte sacó de la irrelevancia al Pequeño Napoleón catalán. Después de las políticas españolas, que habían producido un parlamento ingobernable, los 7 diputados (de 350) de su partido JpC se convirtieron en vitale para dar una mayoría y salvar el escaño al primer ministro socialista Pedro Sánchez. Puigdemont los había ‘entregado’ a cambio de una amnistía ad personam. Votada por el parlamento español. Pero cuestionada por algunos jueces posfranquistas. Uno de los cuales ha confirmado por ahora la orden de detención contra el ex ‘president’. Esto arruinó los planes de Puigdemont, que quedó segundo en las elecciones catalanas de junio (votado principalmente en el norte rural de la Cataluña profunda), 10 puntos por detrás del socialista Salvador Illa. Esperaba -pero sin tener los números- ser reelegido “President”. Las elecciones fueron desastrosas para el frente independentista, que perdió la mayoría absoluta en el Parlamento que ostentaba desde el fin del franquismo. Sin embargo, para motivar al electorado independentista durante la campaña, Puigdemont juró que dejaría la política si no lograba volver a ser presidente (pero hoy ya lo ha olvidado). Esperaba un regreso triunfal a Cataluña después de siete años de exilio para la sesión de investidura del nuevo presidente catalán. Convencido de que podría bloquear la elección de Illa. A riesgo de ser detenido. Ofrecia valientemente su pecho al enemigo españolista. Esperaba así provocar una tensión insostenible y socavar el pacto de investidura entre Illa y el otro gran partido independentista, ERC del ‘Nelson Mandela catalán’ Oriol Junqueras, que acabó en prisión en 2017. Erc habia arrancado una concesión histórica al presidente del Gobierno Sánchez a cambio del apoyo a Illa: la autonomía fiscal, soñada por los catalanes desde la muerte del dictador Franco.

++++ ‘El beso’ Sanchez/Puigdemont, murales en Barcellona del artista urbano TVBoy

Pero el regreso triunfal de Puigdemont se convirtió en una opereta cómica. Llegó la mañana de la investidura a una plaza de Barcelona recibido por cientos de aficionados, en su mayoría retirados. Ni siquiera entró al Parlamento, pronunció un pequeno discurso de cinco minutos. Luego volvió a huir a Waterloo. La policía local catalana, los Mossos, tuvieron cuidado de no arrestarlo, cayendo ellos mismos en el ridículo. Luego explicó que lo perdió de vista porque los agentes que lo seguían se vieron detenidos por un semáforo en rojo… Visiblemente nadie, ni en Madrid ni en Barcelona, se moría por tomarse la molestia de arrestarlo.

ILLA, EL ANTI-PUIGDEMONT, CON DUCH PAZ CON BRUSELAS

La elección del muy pragmático Illa marca probablemente el fin del sueño independentista. Muchos catalanes están hartos de las proclamas vacías de Puigdemont y sus hombres. Quieren volver a una política de reconciliación que aborde sus problemas reales y no las quimeras ideológicas. Illa lo entendió. Formó un gobierno ‘de servicio’ a los catalanes y de (re)conciliación, nombrando a dos ex líderes del partido de Puigdemont, y dos ministros de ERC. En el Gobierno de Illa también figura Jaume Duch, uno de los altos cargos europeos más brillantes, ex-asesor del actual ministro de Asuntos Exteriores italiano, Antonio Tajani, cuando éste era presidente del Parlamento Europeo. El nombramiento de Duch como ministro para la UE y las Asuntos Exteriores marca la voluntad de normalizar las relaciones con Bruselas, tras las tensiones de la era Puigdemont.  El expresidente, convencido de su propia importancia, podría ahora vengarse de haber sido nuevamente marginado, provocando la caída de Sánchez en Madrid, ya debilitado por las investigaciones por presunta corrupción que involucran a su hermano David y a su esposa Begonia Gómez.

++++ Jaume Duch (izq) y Salvador Illa (Efe)

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