GUERRA PROPAGANDA, PER ORA VINCE HAMAS

5/11/23 – E’ una costante nelle guerre ‘moderne’. Accanto allo scontro militare vero e proprio, al sangue, ai morti, alle distruzioni, alle violenze, alle lacrime, alle sofferenze dei civili più fragili, vittime dei ‘danni collaterali’ , donne, bambini, anziani, è sempre più importante la guerra parallela, sotterranea e ipocrita, della disinformazione.

In Bosnia come in Iraq, in Siria come nello Yemen, in Ucraina e ora a Gaza, la guerra della manipolazione della realtà è quasi importante come quella vera. Fa vincere o perdere battaglie, manipola l’ingenua opinione pubblica. soprattutto occidentale, vittima anche della incapacità, sempre più spesso, di una  parte dei media di fare il loro lavoro: cercare la verità, anche la più scomoda, scavando dietro apparenze troppo facili, predigerite.

Ai tempi di Giulio Cesare o di Napoleone, la disinformazione era uno strumento di tattica e strategia militare. Si doveva depistare il nemico facendogli credere che un esercito era da una parte, quando in realtà era già arrivato dove meno l’avversario se lo aspettava. Oggi la battaglia della manipolazione ha obiettivi più psicologici che  militari. Ma non meno importanti.

Si tratta di spingere dalla propria parte le opinioni pubbliche, facendo credere che il cattivo è il nemico, spietato, sanguinario.    Spostando cosi anche i governi, vulnerabili ai cambiamenti di umore dell’opinione pubblica, demonizzando l’avversario. Le vittorie nelle guerre della disinformazione si traducono in vantaggi concreti, anche enormi. Spostano ingenti  aiuti finanziari, armi e tecnologie militari,  appoggi aerei e di terra, sostegno politico.

I casi celebri non mancano. Come. durante la guerra in Bosnia,  “la strage della coda per il pane” al mercato di Sarajevo assediata. I musulmani-bosniaci accusarono i serbo-bosniaci, -con l’appoggio di Usa ed europei – ma in realtà fu probabilmente un proiettile delle forze islamiche a provocare il massacro. O la storica bufala delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, sbandierata da Washington all’Onu per giustificare l’invasione dell’Iraq. Ma che non esistevano. Come non esistevano gli attacchi con armi chimiche ad Aleppo da parte dell’esercito siriano, denunciati dai terroristi islamici dell’Isis e dai loro alleati turchi e arabi sunniti. 

Fra Israele e Hamas la guerra della disinformazione è già antica. Ai tempi dell’Intifada, il movimento islamico accusava regolarmente Israele di uccidere “bambini”. Abusando della definizione di “bambini”, cioè sotto i 18 anni. Dimenticando che già a 12/14 anni i giovani palestinesi possono essere addestrati da Hamas e Jihad Islamica a farsi esplodere contro soldati e civili israeliani. Spesso con l’appoggio, per lo meno in pubblico, delle loro stese madri. ‘Fiere’ di avere dato “martiri” alla causa. E’ vero che alle famiglie dei kamikaze viene garantita un a sicurezza economica, oltre allo status  di avere un figlio “eroe”. Si ricordano, negli anni dell’Intifada, episodi tragicomici di giovani “martiri” accompagnati dalla folla al cimitero,  visti dalle telecamere saltare fuori dalla bara e darsela a gambe al passaggio di un aereo o di un elicottero militare israeliano. Qualunque mezzo era buono per uccidere il nemico sionista, aveva teorizzato il fondatore di Hamas, lo sceicco Yassin. ‘Giustiziato’  mentre usciva dalla moschea da un missile israeliano. “Voi avete gli F16, i nostri aerei sono i kamikaze”, diceva.

Due giorni dopo i massacri perpetrati dei miliziani islamici in Israele il 7 ottobre, il ‘ministero della sanità’ di Hamas a Gaza spiegava che i morti palestinesi delle bombe israeliane erano prevalentemente “bambini”. Hamas però non ha mai indicato quanti, fra i morti, erano civili e quanti miliziani uccisi da Israele. Gli israeliani forse più ingenui, o più convinti della propria superiorità militare, nei primi giorni davano solo il numero di tutte le loro vittime, senza fare distinzioni di sesso o di età.  Lasciando campo libero ad Hamas per convincere l’opinione pubblica araba, già acriticamente convinta, ma anche molte piazze occidentali, della crudeltà di Israele. Una certa tradizione militare frena l’esercito israeliano, come a suo tempo quello siriano, quello serbo, o quello russo, dall’usare dati manipolati nella guerra della propaganda. Sorprendentemente la maggior parte dei media occidentali riprende le cifre dei morti a Gaza senza ricordare che provengono da Hamas. e senza interrogarsi sull’assenza di vittime fra i miliziani islamici, almeno nel. conteggio dei morti fatto dal ‘ministero’ di Hamas. “Ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte, e diventerà una verità”, è la frase attribuita al maestro della propaganda nazista e antisemita, Josep Goebbels.

L’episodio del “bombardamento” dell’ospedale di Gaza City è esemplare. Hamas ha subito accusato l’aviazione israeliana di avere deliberatamente colpito il centro medico (gli ospedali secondo Israele sono usati come ‘scudi umani’ da Hamas, che vi nasconde armi, esplosivi e cenrtrio di comando) facendo “centinaia di vittime”. La notizia è stata ripresa praticamente senza alcun controllo, dai media anche occidentali, scatenando dure e scandalizzate proteste contro lo stato ebraico. I controlli dei servizi di Usa, Regno Unito e Francia, hanno rapidamente chiarito che la strage era stata provocata da un missile difettoso della Jihad Islamica. 

Varie testate ancora non hanno corretto l’informazione manipolata data in un primo tempo. IL’antico  ‘odio dell’ebreo’, che ha segnato per due millenni la storia europea, sicuramente facilita la penetrazione della disinformazione di Hamas in ampi strati dell’opinione occidentale. Lo stesso segretario di stato Usa Antony Blinken si è detto sorpreso nel constatare quanto rapidamente l’opinione pubblica si stia dimenticando le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Le irresponsabili dichiarazioni di stampo quasi nazista di ministri del governo di di estrema destra di Benyamin Netanyahu – come sull’ipotesi di usare l’arma nucleare contro Gaza – non possono che rafforzare la disinformazione di Hamas.  

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francescocerri

Giornalista Internazionale. Nato come specialista di politica europea e di sicurezza. Inviato a Sarajevo durante la guerra dei Balcani, e al Tribunale Penale Internazionale al processo Milosevic. Corrispondente in Israele/Palestina durante l'intifada, in Turchia durante la guerra in Siria e la rivolta di Gezi Park. In Spagna , con gli indignados, e Portogallo. Presidente onorario della stampa parlamentare europea. Cavaliere della Repubblica.

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